LA CARITA’ E’ SEMPRE NECESSARIA!

Alcuni casi di malsolidarietà…
Ma intanto all’ingiustizia dei servizi pubblici rispondiamo con la carità del popolo
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Nella comunità familiare di Ca’ Edimar su 9 ragazzi ospitati ben 2 non riescono a frequentare regolarmente i corsi di formazione professionale.

A meno che tutti i casi difficili non siano concentrati da noi, significa che continua ad esserci una richiesta di personalizzazione dei percorsi per alcune situazioni particolari di fronte a cui i Centri di Formazione Professionale, con le risorse normali che hanno, sono impotenti.

Marco” (nome fittizio) é un ragazzo di 17 anni, frequenta (o meglio frequenterebbe) il terzo anno di un CFP molto serio e che stimo molto. 
L’anno scorso, su segnalazione dei servizi sociali di Padova, é venuto qualche pomeriggio a Ca’ Edimar per studiare. A settembre si presenta ai Servizi dicendo Fatemi andare a vivere a Ca’ Edimar perché a casa con la nonna non ne posso più”E cosi accadde. Veniamo a conoscenza di una situazione familiare fragilissima che non sto qui a descrivere. Il primo giorno di scuola ci chiamano: “Marco” non vuole entrare in classe. Le provano tutte, con pazienza, ma niente da fare. E così il Centro ci dice che anche l’anno scorso, in maniera meno accentuata, questo problema c’era, ma avevano potuto attivare un progetto personalizzato perché avevano una tirocinante, ma quest’anno non c’è nessuno che possa fare la stessa attività. Per il rapporto molto positivo che ha con me, ho provato io stesso facendomi invitare nella sua classe a parlare sul tema “I giovani davanti alla sfida del lavoro” (ben accettato dalla scuola dal momento che conoscono i miei trascorsi su queste tematiche) a vedere se entra con me. Pareva di sì ma al momento di entrare un blocco. Anche a Edimar se arriva un gruppo di ragazzi in visita alla struttura lui si rifugia in casa. Capiamo tutti che non sono capricci e che il problema non si risolve con una seduta psichiatrica.

Da allora “Marco” non frequenta più la scuola e l’unica cosa che è riuscito a fare il CFP è offrirgli un tirocinio in una biblioteca fino al 15 giugno per il quale comunque tutta l’assistenza e il tutoraggio è a carico nostro. “Marco” non riesce ancora ad andare da solo in autobus per cui ogni giorno deve essere portato e poi ripreso.
Costo di tutto questo (tutor che almeno per una settimana stia con lui allo stage finchè si adatta, lavoro pomeridiano di potenziamento)? Ovviamente a carico nostro.

Jonatan” (secondo nome fittizio) iscritto a settembre al 1^ anno di un CFP dopo una settimana è stato costretto ad abbandonare la scuola perché con gli altri fratelli ha dovuto entrare in un regime di protezione durato circa 5 mesi.
Un mese fa, accolto in Ca’ Edimar, abbiamo provato a reinserirlo a scuola ma era ovvio che non avrebbe potuto ritornare d’improvviso in una normalità, per cui il CFP ci ha proposto che vada a scuola solo 3 giorni quando c’è il Laboratorio e per il resto facciamo a casa una formazione personalizzata di recupero in vista del prossimo anno (con la reiscrizione al 1^ anno).
Di fatto su 29 ore settimanali del corso ne può frequentare 13. Per il resto il CFP non ha risorse per poterlo aiutare.
Dietro le pieghe dei grandi numeri di ragazzi che frequentano i CFP chissà quanti Marco e Jonathan ci sono e il CFP non è in grado di intervenire più di tanto perciò non può che fare come nelle altre scuole: sospendere, chiamare i genitori….tutte liturgie che conosciamo bene.

Questi “Marco e Jonathan” sono le nostre spine nel fianco, i fatti che ci devono lasciare inquieti e non rifugiarci dietro i numeri e le percentuali, perché la scuola non è come una fabbrica di biscotti che va bene anche se mette in preventivo che una parte di biscotti si rompe e non va inserita nelle confezioni da vendere.
E il sistema formativo sarà ingiusto finchè non prevede un percorso ad hoc, fosse solo per un ragazzo che ne avesse bisogno – che vale tutto l’infinito perché è un istante unico e irrepetibile della gratuità di Dio come ognuno di noi. Mi viene sempre in mente il Luciano della scuola di Barbiana, un ragazzino di 11 anni che doveva attraversare il bosco per recarsi a scuola e doveva passare un ruscello bagnandosi ogni volta scarpe e calzoni; e Don Milani lottò con il Comune perché costruissero un ponticello che il Comune non voleva fare perché sarebbe servito solo per quel ragazzino. Finché la spuntò. Allora Luciano tutto contento se lo dedicò, scrivendo con il dito sul cemento fresco «a me». Il ponte è stato recuperato nell’agosto 2007 con un campo di lavoro e studio di due gruppi scout di Arezzo e Salsomaggiore.
Hanno lavorato tre giorni per liberarlo dai rovi e dalla boscaglia che lo avevano seppellito durante gli anni. Ora è tornato a parlare e raccontare del pastorello che tutti i giorni lo attraversava per andare a scuola.
L’ultima sera, gli scout lo vollero vegliare: accesero le lanterne e con i canti ruppero il silenzio che da anni dominava quel fosso isolato e buio. Il gruppo scout di Salsomaggiore quella sera decise di cambiare nome: si chiamerà clan «Il Ponte di Luciano».

Ecco, la Regione dovrebbe darci i mattoni per costruire anche noi il ponte verso una positività per “Marco e Jonathan” che finora hanno conosciuto molta negatività, e non per colpa loro.

Mario Dupuis